"La vera tragedia è nel condizionale"

Ai sussurri e alle grida che tengono svegli di notte.
 
foto da Shining, Stanley Kubrick
 
Sei in ognuno di essi, nella pausa tra un respiro e l'altro, nell'incompiutezza dell'Essere.
I corvi sono ancora sulle spalle, scarnificano pelle e carne - non fai niente per mandarli via; ci hai provato, sono tornati. Ora li chiami per nome -.
Ti dici: non è per questo.
Ti dici: ancora un passo, ancora un grido.
Tanto, è solo una parola. Aria. Niente.
Lo spegnersi delle prospettive. Un tempo ti terrorizzava. Ora conti le conchiglie nascoste nei jeans, come se risolvessi cruciverba in dorico.
Minuscola apoteosi del nulla.
Un trascinarsi che è un chiudere gli occhi per tutte le volte che hai finto di vedere più in là (e invece ti cadeva dal cielo), per tutte le volte che hai ricercato il plauso ed è tornato indietro solo il vento, l'aria mefitica dei pozzi, il sogno di chi saresti stato.
La vera tragedia è nel condizionale.
L'istinto non esiste.
Il lavorio è incessante, continuo e totalmente inutile (non sono parole tue e sei sufficientemente onesto da ammetterlo apertamente) e, nel frattempo, procedi in punta di piedi.
Muro di pietra.
Hai provato. Ci hai provato davvero, ad abbatterlo. Avevi tempo, voglia e piccone. Adesso, le tue armi sono spuntate, il manico si è rotto, metallo contro pietra ha generato una scintilla troppo breve per innescare qualcosa.
Conti i giorni.
Passi e, se guardi, è già una festa.
Tieni duro, ti dici.
Manca poco, ti dici.
Conti alla rovescia.
Indietro, da 120.
Ti perdi, ricominci.
Da capo. Ancora.
L'impossibilità di stabilire una decenza è ciò che prevarica il diritto di critica, quello in virtù del quale anche i cretini possono dire la loro e -Mon Dieu! - farsi ascoltare (anche questa non è tua, e lo sanno pure i sassi).
Resta un fatto.
Dopo tante parole, non si può aspirare che al silenzio, al posto all'ombra, là dove le lotte finiscono, dove tutto passa davvero, dove un nome è solo un nome, dove il tuo niente può anche smetterla di gonfiare il petto e fingersi tutto.
Dove il niente conquista il diritto di essere ciò che si sente ed è.
Esattamente questo: puro e semplice niente.
 

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