Il Munch che ritorna (voglia di scrivere)

Questa è una di quelle notti.
Notti pesanti, notti piene di pensieri, mentre il resto della casa sta dormendo.
Tra i tanti maledetti pensieri di cui sopra (che si affastellano, che fanno a pugni), ce n'è uno.
Che ritorna.
Perchè ogni volta che rimetto piede a Trieste:
 
a) non vorrei più andare via
 
b) mi prende la frenesia di riesumare il seguito de Il furto dei Munch?
 
Forse, perchè è un romanzo ambientato totalmente in quella città, alla quale appartengo e che amo. Forse, perchè ciò che prova la mia protagonista, Agata, in un certo qual modo riesco a condividerlo.
Il romanzo è lì.
Nella sua cartella di file.
Che mi guarda.
Che mi chiama.
Chiama da giorni, ormai.
Per quanto riuscirò ancora a ignorarlo?
Deve ancora sedimentare, è ancora troppo presto. Ho finito di scriverlo, ma deve... sì, non c'è altro modo per dirlo: deve sedimentare.
Eppure, grida.
Sempre più forte.
Grida.
Vuole uscire allo scoperto.
Vuole Tornare.
 
Io voglio tornare.
Perché lì mi sento a casa.
Il mio angolo a destra, sul Molo.
Le bitte sulle quali mi allaccio le scarpe e vado a leggere Il Piccolo.
La salita di via Rossetti.
Il Viale.
Via Polonio.
Il giardin publico.
Il Viva l'A e po' bon.
Lo stare in piedi controvento.
Il mio dialetto che è presenta come una lingua (e i friulani, zitti, boni, almeno per un momento).
Il volentieri.
Il no gavemo.
Il gavevimo, ma iera ieri.
Cose che non vi spiego, ma che sento dentro.
Sempre.
 
... e il file continua a gridare...
 

Nessun commento