Una risata nella notte

Ci sono notti in cui il silenzio è una benedizione; altre, una condanna.
A svegliarmi, oggi, è stata una risata. Breve e improvvisa, uno scoppio incontenibile, come quando assisti a qualcosa di troppo buffo da permettere ai tuoi polmoni di trattenerlo anche solo per un altro istante.
Era la Bambina.
Sono andata a controllarla e lì, nella tenue luce azzurrina che tagliava il suo letto -un groviglio di lenzuola e piumoncino-, stava ancora sorridendo. Dormiva in una di quelle posizioni assurdamente scomode che solo il sonno infantile può tollerare.
Sorrideva.
Nessun pensiero, nessun brutto sogno. Solo un perfetto hic et nunc condensato negli angoli delle sue labbra volti all'insù.
Il silenzio, questa notte, era da benedizione.
Silenzi durante i quali l'aria sembra rarefatta come in alta montagna, i cani dei vicini dormono, non passano auto e perfino i motorini smarmittati riposano in qualche garage.
Sono momenti, questi, che custodiscono in sé qualcosa, quasi una lieve promessa di eterno. Perfino per me, che vivo costantemente in attesa. Momenti in cui le corde di violino che mi tengono in piedi si smorzano, i nervi si distendono, e mi concedo di sedere al buio senza far nulla. Semplicemente: respirando.
La Bambina ha riso nel sonno.
La risata si è spenta e si è trasformata in un sorriso che perdura, poi scivola lentamente e infine scompare, anche se non del tutto.
Il suo sorriso è speranza, è il richiamo della promessa quasi esaudita. In questa notte di silenzio, di aria immobile, di luce azzurrina, di cielo che comincia appena a rischiararsi.
Penso che posso cedere anch'io al sonno, avvolgermi nel plaid e addormentarmi. Penso che le ore sono state lunghe, che l'orologio è andato avanti senza di me, che gli occhi che bruciano sono sussurri di stanchezza, che al primo abbaiare di cane farà seguito un altro, che il silenzio e la pace perfetta sono sul punto di svanire, che le auto cominciano a ingombrare le strade.
Ma il cigolio della porta del corridoio mi fa voltare.
La Bambina è lì, che si stropiccia un occhio. I capelli -biondo cenere, biondo Tudor- un po' troppo lunghi hanno asunto la piega del cuscino, che ha lasciato un'ombra rossastra sulla sua guancia destra.
"Buo'ggionno" mi saluta. Il sorriso lascia spazio a uno sbadiglio. "Latte?"
Latte.
E comincia un'altra giornata.

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